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Note

L’arte di Alessandra Gentili non è di queste parti: viene da lontano, da un mondo altro, onirico e trasognato,  romantico e un po’ anarchico, che vive benissimo senza leggi, canoni, calcoli e proporzioni, per prender forma unicamente dalle emozioni dell’artista. Se quindi appare quantomeno arduo parlare di derivazioni tematiche, trattandosi semplicemente del libero sfogo del suo io più intimo, da un punto di vista stilistico è possibile osare qualche paragone; le radici culturali dell’artista affondano nelle atmosfere trasognate e malinconiche di Marc Chagall, nella caleidoscopica forza espressiva di Francesco Musante, o ancora nelle superbe illustrazioni di Emanuele Luzzati. Tuttavia Alessandra Gentili ha sì tesaurizzato i suggerimenti e le suggestioni, ma per rivendicare la libertà di scelta di un preciso e personale percorso estetico. Ha conquistato un linguaggio inconfondibilmente suo, e nell’epoca del rimpasto, del remake, della rivisitazione, specchio di una società che sembra aver prosciugato ogni sua stilla di originalità creativa, questo è senza dubbio il maggiore dei suoi meriti. Con una grande velocità di tratto e facilità di esecuzione, Alessandra non indulge mai in sottigliezze, né si perde a raffigurare elementi velleitari o di corredo; ciò che le interessa è comunicare un’emozione, ed è ben conscia di quanto essa rischi di essere distrutta o scavalcata da una sintassi pittorica troppo insistita e riflettuta. Le sue opere rivelano un fervore e una passione talvolta incontenibili, una vitalità debordante, e non può certo permettere che il magma che sgorga dalla sua interiorità si raffreddi, passando attraverso le sue mani, perché tutto risulterebbe mutilato e banalizzato. Ed eccoci quindi alle sue tele, popolate, con un gusto fiabesco e un po’ naïf, da fiori, casette con tetti spioventi, gatti, personaggi appena abbozzati con buffi copricapo o fluenti chiome, quasi sempre impegnati in gestualità affettuose o romantiche e tuttavia immersi in scenari mossi e vorticosi, metafora, forse, della difficoltà odierna di vivere con serenità e perché no, condivisione, la nostra sfera emotiva, ormai imprigionata tra le fitte maglie di una società asfissiante e tentacolare. I suoi personaggi, che per la dolcezza e armoniosità delle movenze ricordano quasi le illustrazioni di Peynet, stringono forte dei cuori, si abbracciano delicatamente, si abbandonano al vento con fare lascivo e romantico, appaiono gelosi dei propri affetti, che cercano di custodire e difendere da una non meglio identificata forza negativa, che è ben presente sullo sfondo, in quell’ espediente tecnico di preparare le tele con una base nera, che dona vaghi riflessi plumbei e notturni a composizioni altrimenti luminosissime.  D’altra parte, chi ha letto le stesure originali delle più grandi fiabe di ogni tempo, quelle di H.C. Andersen o C. Perrault, per intenderci, sa bene che sono lontanissime dall’immaginario disneyano candido e positivo cui siamo soliti associarle, per caricarsi, invece, di risvolti oscuri e non di rado tetri, a porre l’accento sull’eterna lotta tra il bene e il male su cui è imperniata la vita di ciascuno di noi. Alessandra non fa eccezione; è questa la chiave di volta per interpretare la sua vena artistica, che è lo specchio di un animo gioioso e vivace che deve però fare i conti con una sottile quanto inesorabile inquietudine. Tirando le somme, più che di stile pittorico, è quindi più indicato parlare di flusso emotivo, che  trascende il particolare, il singolo quadro, e si fa norma universale che permea tutta la sua opera, e la sua stessa vita; è un invito alla spontaneità a briglia sciolta, all’immaginazione, alla gioia di vivere nonostante tutto, a godere delle cose belle che ci rimangono, un incitamento a trovare sempre del tempo da dedicare all’amore, alla poesia, alla musica, alla fantasia, cui fare ricorso quando, tra le asperità del quotidiano, abbiamo bisogno di un “c’era una volta…”.

                                                                                                                                                                            David Menghini